Giovanni Verga
Giovanni Verga nasce nel 1840 a Catania e alla Sicilia resterà sempre legato tutta la vita.
Vivie a Firenze e a Milano dove entra in relazione con la società letteraria dell'epoca e scrive i primi tra romanzi e racconti.
Nel 1874 pubblica la novella Nedda che segna un cambiamento della sua arte e l'adesione dell'autore al Verismo che si affermava in quegli anni in Italia, ispirato al Naturalismo francese.
Le sue opere comprendono romanzi e diverse raccolte di racconti e novelle.
Si ritira in Sicilia, amareggiato dal bel mondo milanese e dalla fredda accoglienza riservata alle sue opere.
Muore a Catania nel 1922.
Verismo e Verga
Per Verga l'opera d'arte deve ritrarre la realtà dal vero; l'autore osserva e documenta le reazioni e i sentimenti umani, senza intervenire con commenti o giudizi; come un fotografo registra la verità senza comparire in nessun modo. L'opera, dice Verga, deve sembrare "essersi fatta da sé".
L'autore, cioè, studia le azioni e le passioni degli uomini, quasi come in un esperimento scientifico; nell'opera poi le riproduce così come sono anche nella vita.
Per Verga, da sempre legato al mondo arcaico e dimenticato dei contadini e dei pescatori siciliani, lo studio sull'uomo deve essere condotto attraverso l'osservazione degli umili, dei poveri cristi, ancora capaci di passioni autentiche ed elementari (Cavalleria rusticana).
E' il mondo dei vinti, di coloro che lottano per fame (I Malavoglia) o per ambizione (Mastro Don Gesualdo) e che sempre vengono sconfitti, travolti dal fiume del progresso che li annega.
Per Verga il movente dell'attività umana è il denaro: quello necessario a sopravvivere, come ne I Malavoglia, o quello che serve per essere rispettabili, come in Mastro Don Gesualdo: tutti gli uomoni vogliono migliorare, tendono al progresso. Ma mentre inspiegabilmente il Progresso generale avanza, le vite dei singoli vengono travolte. I valori duraturi sono per Verga gli affetti, soprattutto quelli familiari.
Lingua e stile
La lingua e lo stile non possono essere quelli colti e raffinati dell'autore (il toscano classico di Manzoni, per esempio), ma devono riprodurre il parlato popolare; per questo Verga traduce in un italiano infarcito di proverbi e detti popolari, la sintassi e il lessico dialettali, rinunciando ad uno stile suo e prendendo a prestito quello dei personaggi. I personaggi sono sempre molti; i suoi romanzi sono corali, i veri protagonisti, cioè, sono le donne e gli uomini del paese che guardano e commentano, entrando così nella vicenda principale.
I Malavoglia
Il romanzo fu pubblicato nel 1881 e narra la vicenda della famiglia Malavoglia, travolta da una serie di sciagure iniziate con l'acquisto di un carico di lupini col quale padron 'Ntoni intendeva assicurare alla suoi miseri cari un po' di benessere. In riferimento a I Malavoglia, Verga scrive:
allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace ch’egli è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui.
Mastro Don Gesualdo
Il romanzo fu pubblicato nel 1889 e narra la vicenda di mastro Gesualdo che, da povero e disprezzato, dopo una vita di lavoro e austerità, ha messo insieme una discreta fortuna: l'uomo è ossessionato dalla roba, dal guadagno, dal potere che il denaro porta con sé e, cercando una rivincita impossibile nei confronti della vita, solo e senza affetti finisce col perdere tutto.
Vivie a Firenze e a Milano dove entra in relazione con la società letteraria dell'epoca e scrive i primi tra romanzi e racconti.
Nel 1874 pubblica la novella Nedda che segna un cambiamento della sua arte e l'adesione dell'autore al Verismo che si affermava in quegli anni in Italia, ispirato al Naturalismo francese.
Le sue opere comprendono romanzi e diverse raccolte di racconti e novelle.
Si ritira in Sicilia, amareggiato dal bel mondo milanese e dalla fredda accoglienza riservata alle sue opere.
Muore a Catania nel 1922.
Verismo e Verga
Per Verga l'opera d'arte deve ritrarre la realtà dal vero; l'autore osserva e documenta le reazioni e i sentimenti umani, senza intervenire con commenti o giudizi; come un fotografo registra la verità senza comparire in nessun modo. L'opera, dice Verga, deve sembrare "essersi fatta da sé".
L'autore, cioè, studia le azioni e le passioni degli uomini, quasi come in un esperimento scientifico; nell'opera poi le riproduce così come sono anche nella vita.
Per Verga, da sempre legato al mondo arcaico e dimenticato dei contadini e dei pescatori siciliani, lo studio sull'uomo deve essere condotto attraverso l'osservazione degli umili, dei poveri cristi, ancora capaci di passioni autentiche ed elementari (Cavalleria rusticana).
E' il mondo dei vinti, di coloro che lottano per fame (I Malavoglia) o per ambizione (Mastro Don Gesualdo) e che sempre vengono sconfitti, travolti dal fiume del progresso che li annega.
Per Verga il movente dell'attività umana è il denaro: quello necessario a sopravvivere, come ne I Malavoglia, o quello che serve per essere rispettabili, come in Mastro Don Gesualdo: tutti gli uomoni vogliono migliorare, tendono al progresso. Ma mentre inspiegabilmente il Progresso generale avanza, le vite dei singoli vengono travolte. I valori duraturi sono per Verga gli affetti, soprattutto quelli familiari.
Lingua e stile
La lingua e lo stile non possono essere quelli colti e raffinati dell'autore (il toscano classico di Manzoni, per esempio), ma devono riprodurre il parlato popolare; per questo Verga traduce in un italiano infarcito di proverbi e detti popolari, la sintassi e il lessico dialettali, rinunciando ad uno stile suo e prendendo a prestito quello dei personaggi. I personaggi sono sempre molti; i suoi romanzi sono corali, i veri protagonisti, cioè, sono le donne e gli uomini del paese che guardano e commentano, entrando così nella vicenda principale.
I Malavoglia
Il romanzo fu pubblicato nel 1881 e narra la vicenda della famiglia Malavoglia, travolta da una serie di sciagure iniziate con l'acquisto di un carico di lupini col quale padron 'Ntoni intendeva assicurare alla suoi miseri cari un po' di benessere. In riferimento a I Malavoglia, Verga scrive:
allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace ch’egli è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui.
Mastro Don Gesualdo
Il romanzo fu pubblicato nel 1889 e narra la vicenda di mastro Gesualdo che, da povero e disprezzato, dopo una vita di lavoro e austerità, ha messo insieme una discreta fortuna: l'uomo è ossessionato dalla roba, dal guadagno, dal potere che il denaro porta con sé e, cercando una rivincita impossibile nei confronti della vita, solo e senza affetti finisce col perdere tutto.